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«impokerarmi» 1 perchè sorrisi a tal ordine, ini disse che non mi pagava il suo danaro perché mi grattassi la testa; e, se il servidore non portava a tempo una bottiglia di vin d’Oporto, che gli fece dimenticare la zuffa, non so in veritá come finita sarebbe quella faccenda. Si mise a bere, la Banti segui l’esempio, ed io, mentre andavano borbottando in inglese delle cose ch’io allora poco capiva, andai alla porta, v’uscii frettolosamente, corsi a casa, mi chiusi nella mia camera e in ventiquattro ore terminai il second’atto e lo mandai al signor Bianchi. Anche questo secondo atto gli piacque, ma non ne compose che gran tempo dopo la musica. Propose alla Banti un’altr opera da lui fatta in Italia, e questa ebbe la sfacciataggine di dire all’impresario ch’era tutta nuova e di pretender che lo dicessero e lo credessero quelli ancora che l’avean veduta a Venezia molt’anni prima; e tutto improvvisamente s’annunziò con gran pompa su tutte le carte pubbliche che «madama Banti farebbe la seconda prova de’ suoi rari talenti r\z\Y Aci e Galatea , opera scritta per lei a Londra dal celebre Francesco Bianchi». Ma io aveva, sfortunatamente per me, il libretto d ’Aci e Gala/ea, stampato a Venezia, ed ebbi l’imprudenza di dirlo a Federici. Costui lo ridisse alla cantatrice, essa al compositore, il compositore all’ impresario, a cui si volle far credere che fosse un’impostura mia; e questi venne da me col viso p.ú rosso della cresta d’un gallo e mi domandò di vedere il libretto. Ma, come non tenea in mano il poker infocato, lo pregai di sedere, gli presentai la bottiglia invece del libretto richiestomi; e, quando mi parve un poco calmato, pigliai in mano quel dramma, lo consegnai alle fiamme e gli promisi non solo di tacere, ma di riparare subitamente al mai fatto. Taylor, che non sempre era cieco, ville, come si vede un raggio di luce tra le tenebre, che tanto la Banti che Federici l’aveano ingannato, e piú mesi dopo lo disse a Bianchi in presenza mia. Ma, quando volle parlarne alla Banti, gli mise la mano sulla bocca ed obbligollo a inghiottir in silenzio la pillola. ( 1 ) Da «poker».