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la cassa da certi monopoli di vario genere, ch’io gli ho fatto capire di sospettare.

— E perché non ha egli voluto? che cosa le disse?

— Che le cose erano cosi da gran tempo e che non si doveano cangiare; anzi che mi consigliava a non far motto di questo a chi che sia, se voleva rimaner a Vienna.

— Oh birbante! Ora capisco perché mi disse tanto male di lei. A Vienna... a Vienna... Tiriamo avanti.

— Il Salieri poi...

— Oh! di Salieri non ho bisogno che mi parliate. Io lo conosco abbastanza. So tutte le sue cabale, e so quelle della Cavalieri. È un egoista insopportabile, che non vorrebbe che piacessero nel mio teatro che le sue opere e la sua bella. Egli non è solo nemico vostro, ma lo è di tutti i maestri di cappella, di tutte le cantanti, di tutti gl’italiani, e sopra tutto mio, perché sa che lo conosco. Io non voglio piú né la sua tedesca né lui nel mio teatro. Bussani poi, quel vero imbroglione, mi conoscerá. Io ho trovata una certa Gaspari a Venezia, che fará uscire i grilli di testa a quella sfrontata saltibanco di sua moglie, che, a forza di piazzate, di pagliacciate e di urli stuonati, si è acquistata un partito di staffieri, di parrucchieri e di cuochi nella mia dolce Vienna. Io ho avvertita la Gaspari di non lasciare alcuna prima parte a costei: se questo non gioverá, troveremo altre strade. Adesso son io direttore e impresario, e il mio conte «sacco di paglia» non deve far nulla. Io, io voglio comandare, e vedremo se andranno meglio ie cose. Basta: da tutto quello che voi mi dite, e che mi pare naturalissimo, capisco che non siete quell’uomo che mi voleano far credere che foste.

— Noi sono, viva Dio! Sire, noi sono!

— Lo credo, lo credo! Ma che cosa è certo libro, sullo stile di quel di madama Lamotte contro la regina di Francia, che voi state componendo contro me....

— Oh che calunnia! Io contro la Maestá Vostra?

— A me l’hanno detto Ugart, Thorwart e Lattanzio.

— Ecco di quali armi si son serviti i nemici miei, per far credere ch’io era un uomo pericoloso e che conveniva estirparmi