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Non potè trattenere le risa, e mi chiese che proposizione aveva da fargli. Sire — risposi, — non domando che l’uso del suo teatro, ed io darò alla Maestá Vostra ed a Vienna la stessa compagnia e gli stessi spettacoli tre volte per settimana.

— Voi? Siete dunque si ricco?

— No. Sire. Ma ecco quello che ho fatto, da che ci pervenne la trista novella del nostro congedo. — Trassi allora di tasca due altri fogli, in uno rie’ quali v’eran segnati vari nomi di cavalieri e dame, ciascuno e ciascuna delle quali prometteva di pagar cinquecento fiorini per una loggia in primo, secondo o terzo ordine, o una certa somma per tanti biglietti d’ammissione, all’uso di Londra: nell’altro v’era un esatto calcolo di entrate serali e di spesa, calcolo tratto da’ libri del teatro medesimo. Die’ un’occhiata a tutto.

— Ebbene! — disse — andate da Rosemberg e ditegli ch’io vi do l’uso del teatro. — Rosemberg mi ricevette con gran giubilo; ma entrò Thorwart, e questi, sotto vari pretesti, guastò la faccenda.

— Eccellenza, non abbiamo né un ricco scenario né un riero vestiario. Vi sarebbero sempre dispute tra cantanti italiani e attori tedeschi : non si possono trasportar le scene ogni giorno senza grandissimo disturbo. Eccellenza, non può essere. — Il conte allora ripigliò anch’egli: — Non può essere, non può essere. — Uscito dalla sua camera, corsi al palazzo reale, trovai Cesare solo, e senza aspettar che parli, tutto ansante e senza fiato:

— Sire — diss’io, — Thorwart dice e il conte Rosemberg, facendogli l’eco, ripete che non si può. — Datemi il vostro piano

— disse allora egli. — Gliel porsi, ed ei scrisse al piede:

Conte, dite a Thorwart che si può, e che ritengo il teatro per conto mio, secondo il piano del Da Ponte, a cui raddoppierete la paga.

Giuseppe. Tornai dal conte, il quale mi ricevette con grandissima gioia, e non potè astenersi dal gridare: — Bravo, bravo il nostro Da Ponte! — In breve ora si sparse la nuova per tutta la cittá,