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né favellare. Credo che avrebber voluto essere stati senza lingua piuttosto che aver tanto laudate quelle parole prima di sapermi autore; il che avevano fatto col pensiero di farmi avvilire a’ miei stessi occhi, ma reso avevano invece piú luminoso il trionfo mio.

Fui invitato la stessa sera a cenar da un cantante, dove frequentemente trovavasi l’autor della famosa satira «Asino, tu nascesti». Vi capitò, e: — Chi diavolo — diss’egli, entrando, — è l’autor di questo bel libro? — Un «asino tu nascesti», signor Porta mio — (cosi chiamavasi il mio satirico), risposi io freddamente, offerendogli un esemplare del dramma col mio nome nel frontespizio. Non occorre dire come rimase. Ma tutti questi divertimenti non furono nulla, in confronto de’ piaceri reali da me provati pel felice successo di questa opera. I tedeschi, naturalmente buoni e ospitali, che avevano fin allora fatto poco conto di me, in grazia delle censure de’ miei nemici e delle lodi col «ma» prodigatemi da Casti, cercavano di darmi degli ampi compensi de’ torti fattimi, colle cortesie, colle carezze e colle accoglienze gentili. Le donne principalmente, che non volevano che vedere la Cosa rara e vestirsi alla foggia della Cosa rara , credevano in veritá due cose rare tanto Martini che me. Noi avremmo potuto avere piú avventure amorose che non ebbero tutti i cavalieri erranti della Tavola rotonda in vent’anni. Non si parlava che di noi, non si lodava altri che noi; quell’opera aveva operato il prestigio di scoprire delle grazie, delle bellezze, delle raritá, che in noi non si eran vedute prima e che non si trovavano negli altri uomini. Inviti a passeggi, a pranzi, a cene, a gite di campagna, a pescagioni; bigliettini inzuccherati, regalucci con versi enimmatici, ecc. ecc. Lo spagnoletto, che si divertiva mollissimo a tutto questo, ne profittò in tutti i modi. Quanto a me, risi, feci de’ buoni riflessi sul cuore umano, e pensai a fare qualche altra Cosa rara , s’era possibile; tantoppiu che Cesare, dopo avermi dati de’ segni conspicui del suo gradimento, mi consigliò di far senz’ indugio un’altra opera «per questo bravo spagnuolo». Anche il conte di Rosentberg (forse perché Casti era giá partito)