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pareva voler significare «signor ciuco», o qualche cosa di simile. Ma anche il mio «Eccellenza» aveva il dovuto significato.

— Eccellenza, no.

— Ha ella il libretto con sé?

— Eccellenza, si.

— Dov’è la scena del ballo?

— Eccola qui, Eccellenza.

— Ecco come si fa. — Dicendo questo, levò due foglietti del dramma, gittolli gentilmente sul fuoco, mi rimise il libretto, dicendo:— Veda, signor poeta, ch’io posso tutto: — e m’onorò d’un secondo «vnde».

Andai sul fatto da Mozzart, il quale, all’udire tal novelluccia da me, n’era disperato. Voleva andar dal conte, strapazzar Bussani, ricorrer a Cesare, ripigliar lo spartito: ebbi in veritá a durar gran fatica a calmarlo. Lo pregai alfine di darmi due soli giorni di tempo e di lasciar fare a me.

Si doveva quel giorno stesso far la prova generale dell’opera. Andai personalmente a dirlo al sovrano, il quale mi disse che interverrebbe all’ora prefissa. Difatti vi venne, e con lui mezza la nobiltá di Vienna. V’intervenne altresí il signor abate con lui. Si recitò il primo atto tra gli applausi universali. Alla fine di quello havvi un’azione muta tra il conte e Susanna, durante la quale l’orchestra suona e s’eseguisce la danza. Ma, come Sua Eccellenza Puotutto cavò quella scena, non si vedea che il conte e Susanna gesticolare, e, l’orchestra tacendo, pareva proprio una scena di burattini. — Che è questo? — disse í’impcradcre a Casti, che sedeva dietro di lui. — Bisogna domandarlo al poeta — rispose il signor abate, con un sorrisetto maligno. Fui dunque chiamato; ma, invece di rispondere alla questione che mi fece, gli presentai il mio manoscritto, in cui aveva rimessa la scena. Il sovrano la lesse e domandommi perché non v’era la danza. Il mio silenzio gli fece intender che vi doveva esser qualche imbroglietto. Si volse al conte, gli chiese conto della cosa, ed ei, mezzo barbottante, disse che mancava la danza, perché il teatro dell’opera non avea ballerini. — Ve ne sono

— diss’egli — negli altri teatri? — Gli dissero che ve n’erano.