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necessaria ad alunni che aspiravano al sacerdozio, per cui soro principalmente stabiliti que’ lochi in Italia. Le lingue moderne, senza eccettuare l’italiana, quasi del tutto si negligevano. Mio padre, ingannandosi nella scelta del mio stato e lasciandosi consigliare piuttosto dalle sue circostanze che dal dovere di padre, pensava destinarmi all’altare, quantunque ciò fosse affatto contrario alla mia vocazione ed al mio carattere. Era dun que educato anch’io alla maniera de’ preti, sebbene inclinato per genio e quasi fatto dalla natura a studi diversi; di modo che all’etá di diciassette anni, mentre io era capace di comporre in mezza giornata una lunga orazione e forse cinquanta non ineleganti versi in latino, non sapeva, senza commettere dieci errori, scriver una lettera di poche linee nella mia propria lingua. Il primo a distruggere tal pregiudizio, a introdurre tra gli alunni di quel collegio il buon gusto, indi una nobile gara e predilezione per la toscana favella, fu il coltissimo abate Cagliari, giovane pieno di foco e di valore poetico, che, uscito di fresco da’ collegi di Padova, da’ quali non era escluso Dante e Pe trarca piú che Virgilio ed Orazio, cominciò a leggere, spiegare e far gustare a un buon numero di giovanetti, alla sua educa zione affidati, le prose, i versi e le bellezze de’ nostri.

Frequentavan le sue leggiadre lezioni due de’ piú colti e svegliati ingegni di Ceneda, Girolamo Perucchini e Michel Colombo. All’emulazione di questi deggio, piú che a tutt altro, la rapiditá de’ miei avanzamenti nella poesia. Narrerò qui un fatterello, che, sebben frivolo e di poco momento in se stesso, basterá nulla di meno a dar un’idea della forza c’hanno sugli animi giovanili gli esempi de’ buoni, il timore del biasimo e l’onesto desiderio di eccellere. Aveva fatto Michel Colombo i suoi primi studi, avanti d’entrare nel seminario di Ceneda, sotto la direzione di ottimi institutori. Scriveva bene in latino e componeva de’ versi italiani pieni di gentilezza e di grazia. Non isdegnava talvolta di leggerli a me, cui amava sinceramente, per incitarmi, diceva egli, a far un saggio della vena poetica. Un giorno, difatti, mi misi alla pruova. Occorrendomi una piccola somma di danaro pe’ soliti giovenili diporti, credei d’ottenerla piú facilmente