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abate, tentossi un gran colpo. Si pensò di far si che, a dispetto del volere sovrano, io fossi escluso dal mio uffizio: si propose perciò di far comporre il libretto per lo Storace (e Casti era alla testa della congiura) da quello stesso Brunati, che composto avea la satira contra me; e, quanto a Martini, cui tuttodí empievan l’orecchie della mia prima caduta, credevano o che non avrebbe mai osato arrischiar il suo credito co’ miei versi, o io non avrei arrischiato i miei versi colla sua musica; e, per meglio ottenere il loro intento, a lui dicevano male de’ miei drammi, a me della sua scienza. — Egli era un buon compositore pel ballo — dicevan essi; — ma, quanto alla musica vocale, Dio ce ne guardi! — Il mio reale protettore tagliò ben presto tal nodo. Fece dire a Martini per la medesima ambasciatrice di domandare a me le parole d’un dramma, e a me disse egli stesso: — Perché non fate un’opera per quello spagnuolo? Io credo che piacerá. — Fu interrotto a quest’epoca ogni mio studio da una strana e crudele avventura, che merita aver un loco tra i casi piú straordinari della mia vita. Un vile italiano, non essendo né bello, né amabile, né giovine, né ricco, s’era perdutamente innamorato di bellissima giovinetta, nella cui casa io abitava: ella però non solamente non amava lui, ma in odio e disprezzo l’avea, quanto mai da giovine donna possasi avere l’uom piú deforme.

Infastidendola un giorno costui per saper la cagione di questo suo odio: — Prima — gli rispose ella — perché siete piú brutto del diavolo, e poi perché son innamorata del Da Ponte ; — e, per piú dargli martello, cominciò a fargli un elogio di me, come se fossi stato un vero Adoncino. Io non aveva parlato sei volte in tutta la vita mia con questa fanciulla, né ho avuto mai ragione di credere ch’ella amasse me, perché sapeva ch’io amava altra donna, che nella medesima casa abitava. Lo fece forse per levarsi la noia di dosso o per punirlo d’aver avuto il coraggio di dirle ch’era innamorato di lei. La conseguenza di questo scherzo però mi fu fatalissima. Fu la cagione di farmi perdere tutti i denti all’etá di trentaquattr’anni, di farmi passar un anno di vita interamente infelice e quasi quasi di togliermi l’esistenza.