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bizzarria che per sentimento di collera o di dispetto. Offrirò tra tutte queste a’ lettori miei alcune ottave, che mandai al nobiionio Pietro Zaguri, che comfncian cosi:

Ho presa dieci volte in man la penna; e forse ancora certi sonetti tronchi, che scrissi contro Chiovini, da me, per somiglianza del volto col deretano, chiamato Chiappino, e che, non essendo drammi, il signor abate Casti medesimo mi fece l’onor di lodare e di paragonarli a quelli delia Giuleide , scritta da lui. Si troveranno, coll’altre poesie, nel terzo tomo della mia Vita.

Non era dunque che Casti quello ch’io doveva temere, pel suo vero merito e piú ancora pei suoi finissimi artifizi e pel suo onnipossente protettore. Da questi però io aveva l’imperadore che difendevami, e, quanto piú essi mostravansi animati a umiliarmi, tanto piú esso armavasi a mio favore ed al mio risorgimento. — Questo giovane — diss’egli un giorno al ministro veneto Andrea Dolfin, che pur proteggevami — ha troppo talento per non dar gelosia a Casti. Ma io lo sosterrò. Ieri il conte di Rosemberg mi disse, dopo la recita del Ricca d’un giornn: — Avremo bisogno d’un altro poeta. — Casti era nella loggia con lui, quand’egli mel disse. Sperava forse ch’io gli dicessi t — Pigliate Casti. — Ma io invece gli risposi: — Voglio prima vedere un’altra opera del Da Ponte. — II cattivo effetto della prima mia produzione m’aveva tolto ii coraggio d’andar da lui : una volta, incontrandolo accidentalmente in un suo passeggio mattutinale, mi fermò e mi disse con un guardo cortese : — Sapete. Da Ponte, che la vostra opera non è poi si cattiva come ci voglion far credere? Bisogna far coraggio e darcene un’altra. — Capitarono frattanto a Vienna lo Storace e Martini, due giovani compositori che aspiravano a scrivere un’opera pel teatro italiano. II primo aveva la sorella per lui, virtuosa di merito favorita dal sovrano stesso; e l’altro l’ambasciatrice di Spagna, con cui legato parea d’amicizia strettissima l’imperatore. Dopo vari raggiri ed anderivieni segreti de’ cantanti e del casto