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Arrivò, pochi giorni dopo, in Vienna la compagnia de’ cantanti, da quel sovrano chiamata da tutte le parti dell’Italia. Era veramente nobilissima. Mi accinsi sul fatto a comporre un dramma. Cercai tutti quelli eh’erano giá stali scritti e rappresentati in quella cittá, per formarmi un’idea di tal genere di composizione e per imparar qualche cosa, s’era possibile. Un certo Varese, che si faceva, come tanti altri, chiamar poeta, forse perche aveva anche egli composto un dramma buffo, anzi buffone, alcun tempo prima, n’aveva la maravigliosa raccolta di circa trecento. Andai a trovarlo e lo pregai di prestarmene alcun volume. Rise della mia domanda e mi rispose cosi:

— Questa collezione, o signore, vale un tesoro, lo solo posso vantarmi d’averla nel mondo tutto. Non potreste credere quanto danaro e quanti disturbi mi costa. Un giorno si porrá a paraggio colla famosa collana. No, no; non isperate ch’io lasci uscirne un volume solo da queste stanze. Son gioielli, signore, son tcsoretti ! tutto quello c’ho al mondo non vale un volume di questi. Vorrei piuttosto farmi tagliar un orecchio, farmi cavar tutti i denti — e. benché vecchio, n’aveva molti — che perderne un solo. — Tutto ciò che potei ottenere fu di leggerne alcuni in sua presenza. Ei mi teneva sempre gli occhi alle mani, per timore, crcd’io. ch’io ne mettessi qualcuno in tasca. Ebbi la pazienza e il coraggio di scorrer coll’occhio diciotto o venti di que’ suoi gioielli. Povera Italia, che roba! Non intreccio, non caratteri, non interesse, non sceneggiatura, non grazia di lingua o di stile, e, comecché fossero fatti per far ridere, pure ciascuno creduto avrebbe che assai piú propri fossero per far piangere. Non v’era un verso, in quei miserabili pasticci, che chiudesse un vezzo, una bizzarria, un motto grazioso, che eccitasse per qualunque modo la voglia di ridere. Erano tanti ammassi di concetti insipidi, di sciocchezze, di buffonerie. Questi erano i gioielli del signor Varese e i drammi buffi d’Italia! Sperava che dovesse esser facil cosa il comporne de’ migliori. Credeva almeno che qua e lá trovalo si sarebbe ne’ mici qualche tratto piacevole, qualche frizzo, qualche motto; che la lingua non sarebbe stata né barbara né sconcia; che s’avrebbe potuto