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Il giorno decimo di marzo dell’anno 1749 nacqui a Ceneda, piccola ma non oscura cittá dello Stato veneto. All’etá di cinque anni perdei la madre. I padri prendono poco cura generalmente de’ primi anni de’ loro figli. Furono questi negletti interamente dal mio: all’etá d’undici anni leggere e scrivere era tutto quel eh’ io sapeva. Fu allora solamente che mio padre pensò a darmi qualche educazione <’); scelse per mia disgrazia un cattivo maestro. Era questo il figliuòlo d’un contadino, il quale, passato dall’aratro e da’ buoi alla ferula magistrale, ritenne anche nel ginnasio la durezza e rusticitá dei natali. Mi pose egli in mano la grammatica dell’Alvaro, e pretese insegnarmi il latino. Studiai qualche mese senza imparar nulla. Si credeva da tutti ch’io fossi dotato di una memoria e d’un ingegno poco comune, per la mia vivacitá nel parlare, per una certa prontezza nel rispondere, e sopra tutto per un’insaziabile curiositá di tutto sapere. Maravigliandosi perciò il padre mio ch’io profittassi si poco alle lezioni del contadino, si vòlse ad investigarne le cause. Non durò gran fatica a scoprirle. Venne un giorno per accidente nella camera dello studio, e misesi inosservato dietro alle spalle del pedagogo. Indispettito costui per certo errore da me commesso nel ripetere la lezione, serrò con rustica rabbia la destra mano, e colle incallite nocche delle ruvide dita si mise a battere la mia fronte, come Sterope e Bronte batton l’incudine. Divertiva ogni giorno in questa guisa costui la mia testa. Non so se piú la vergogna o il dolore mi trasse dagli occhi qualche tacita lagrima, che fu da mio padre veduta. Preselo allora improvvisamente per gli capelli, trascinollo fuor della camera, lo gettò giú della scala, gettògli dietro il calamaio, le penne e l’Alvaro, e per piú di tre anni non si parlò piú di latino. Credette mio padre, e forse era vero, che la mia avversione pel maestro cagion fosse stata del mio pochissimo profittare nello studio di quella lingua. L’effetto però di questa storiella fu per me assai fatale. Rimasi fino all’etá di quattordici anni del tutto ignorante in ogni genere di letteratura; e (1) Lo studio della lingua latina era il sine qua non de’miei tempi.