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e delle repubbliche. Una terribile avidità di conflitti e di pericoli lo animava: per iattanza appiccò il fuoco alle galeazze del re di Spagna cariche d’oro e andò a gittar le sue frecce in Malamocco. Le ciurme gli obbedivano con impeti ciechi: per seguire il suo grido passavano a traverso gli incendi, si slanciavano contro selve di picche, si attaccavano con le mascelle ai parapetti delle galee, assaltavano mura sotto flutti d’olio bollente. Egli saccheggiò le isole dell’Arcipelago: predò mandre di bovi e di cavalli, camelli, tessuti, vini, fromenti, tesori di gemme e di metalli; nulla tenendo per sè, tutto prodigando ai seguaci.

Una volta inseguì una nave carica di trecento fanciulle tra le più belle della Grecia e della Georgia, comprate ed educate pe ’l Califfo da un mercante di Bagdad; la raggiunse nelle acque di Scio, e la predò. Poi, nella sera, dinanzi a un promontorio coperto di pini, egli bandì per la sua flotta un convivio. La selva di pini incendiata illuminò e profumò di resina la festa; i corsali, che nelle continue fazioni avevano sofferto castità, fecero allora una furibonda orgia di amore. I bellissimi corpi delle fanciulle passarono di braccia in braccia, tra le risa roche e le diverse favelle, versando il piacere; si bevve il vino dalle stesse bocche delli otri,