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turlendana ebro. 341

rispondere al richiamo, e si mise in un canto del trivio a rosicare certe ossa. Il romore dei denti laboriosi udivasi distintamente nel silenzio.

Come dopo poco la porta della cantina si chiuse, Turlendana rimase solo nel gran plenilunio popolato di ombre e di nuvole in viaggio. E la sua mente rimase colpita da quel rapido allontanarsi di tutti li esseri circostanti. Tutti dunque fuggivano? Che aveva egli fatto perchè tutti fuggissero?

Cominciò a muovere i passi incertamente, verso il fiume. Il pensiero di quella fuga universale, a mano a mano ch’egli andava innanzi, gli occupava con maggiore profondità il cervello alterato dai fumi bacchici. Avendo incontrato altri due cani spersi, si fermò presso di loro quasi per esperimentare e li chiamò. Le due bestie ignobili seguitarono a strisciarsi lungo i muri, con la coda fra le gambe; e scantonarono. Poi, quando furono più lontani, si misero a latrare; e subitamente da tutti i punti del paese, dal Bagno, da Sant’Agostino, dall’Arsenale, dalla Pescheria, da tutti i luoghi luridi e oscuri i cani erranti accorsero, come a un suon di battaglia. E il coro ostile di quella tribù di zingari famelici saliva fino alla luna.

Turlendana stupefatto, mentre una specie d’inquietudine gli si svegliava nell’animo vagamente,