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la guerra del ponte. 325

ficavano come sorsi di vino, si ridestò nei Pescaresi la nativa giocondità beffarda; ed essi seguitarono a far ribellione in una maniera gaia ed ironica, così, per il diletto, per il dispetto, per l’amore delle cose nuove.

Li stratagemmi del Gran Nimico si moltiplicavano. Qualunque accordo rimaneva inosservato a causa di abili temporeggiamenti che la debolezza del piccolo sindaco favoriva.

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Il mattino d’Ognissanti, verso la settima ora, mentre nelle chiese si celebravano i primi uffici festivi, i tribuni si misero in giro per la città, seguiti da una turba che ad ogni passo accrescevasi e diveniva più clamorosa. Quando l’intero popolo fu raccolto, Antonio Sorrentino arringò. La processione, in ordine, quindi si diresse al Palazzo comunale. Le strade erano ancora azzurre nell’ombra e le case erano coronate dal sole.

In vista del Palazzo un immenso grido scoppiò. Tutte le bocche scagliavano vituperii contro il leguleio; tutti i pugni si levavano in attitudine di minaccia; tra un grido e l’altro, certe lunghe oscillazioni sonore rimanevano nell’aria, come prodotte da uno stromento; e su la confusion delle teste e delle vesti i lembi vermigli delle bandiere sbattevano, come agitati dal largo soffio popolare.