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282 la fattura.


‟’Mbè, su,” concluse il Ristabilito,”nen ce sta tembe da pérde. I’ pe’ te, propie pe’ farte nu piacere, vajie sine a lu paese a pijà quelle che ce serve. Parle ’nghe Rusarie, me facce da’ tutte cose, e me n’arvenghe, dentr’a sta matine. Damme li quatrine.”

Peppe si tolse dalla tasca del panciotto tre carlini ed esitando li porse.

‟Tre carline?” gridò l’altro, rifiutandoli.”Tre carline? Ma ce ne vo’ pe’ lu mene diece.”

A sentir questo il marito di Pelagia ebbe quasi uno sbigottimento.

‟Come? Pe’ na fatture, diece carline?”, balbettò egli cercandosi con le dita tremule nella tasca. ‟Ècchetene otte. Nen ne tenghe chiù.”

Disse il Ristabilito, secco:

‟Va bbone. Quelle che posse fa’ facce. Viene pure tu, Cià?”

I due compagni s’incamminarono verso Pescara, di buon passo, pe ’l sentiero delli alberi, l’uno innanzi, l’altro dietro. E Ciávola picchiava de’ gran colpi di pugno su la schiena del Ristabilito, per dimostrare la sua allegrezza. Come essi giunsero al paese, si recarono nella bottega di un tal Don Daniele Pacentro speziale con cui erano in familiarità; ed ivi comperarono certi aròmati e dro-