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248 i marenghi.

innanzi, l’uomo indietro. In cima alla scala era una stanza bassa, impalcata di travature. Sopra una parete era incrostata una madonna di maiolica azzurrognola; e davanti le ardeva in un bicchiere pieno d’acqua e d’olio un lume, per voto. Le altre pareti copriva, come una lebbra multicolore, una quantità d’imagini di carta in brandelli. L’odore della miseria, l’odore del calore umano nei cenci, empiva la stanza.

I due ladri si avanzavano verso il letto cautamente.

Stava su ’l letto maritale il vecchio, immerso nel sonno, respirante con una specie di sibilo fioco a traverso le gengive senza denti, a traverso il naso umido e dilatato dal tabacco. La testa calva posava di sbieco sopra un guanciale di cotone rigato; su la bocca cava, simile a un taglio fatto su una zucca infracidita, si rizzavano i baffi ispidi e ingialliti dal tabacco; e uno delli orecchi visibile rassomigliava all’orecchio rovesciato di un cane, essendo pieno di peli, coperto di bolle, lucido di cerume. Un braccio usciva fuori delle coperte, nudo, scarno, con grossi rilievi di vene simili alle gonfiezze delle varici. La mano adunca teneva un lembo del lenzuolo, per abitudine di prendere.

Ora, questo vecchio ebete possedeva da tempo