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242 i marenghi.

banchi, delle sonnambule, dei domatori d’orsi, di tutta la gentaglia famelica e girovaga che si ferma nel paese per carpire alli oziosi un quattrino. E c’erano le belle del Fiorentino; tre o quattro femmine affloscite nel vizio, con le guance tinte di un color di mattone, li occhi bestiali, la bocca flaccida e quasi paonazza come un fico troppo maturo.

Passacantando attraversò la taverna e andò a sedersi su una panca, tra la Pica e Peppuccia, contro il muro segnato di figure e di scritture invereconde. Egli era un giovinastro lungo e smilzo, tutto dinoccolato, con una faccia pallidissima da cui sporgeva il naso grosso, rapace, piegato molto da una parte. Le orecchie gli si spandevano ai due lati come cartocci sinuosi, l’uno più grande dell’altro; le labbra, sporgenti, vermiglie, e d’una certa mollezza di forma, avevano sempre alli angoli alcune piccole bolle di saliva bianchicce. Un berretto che l’untuosità rendeva consistente e malleabile come la cera, gli copriva i capelli bene curati, di cui una ciocca foggiata ad uncino scendeva fin su la radice del naso ed un’altra arrotondavasi su la tempia. Una specie di oscenità e di lascivia naturale emanava da ogni attitudine, da ogni gesto, da ogni modulazion di voce, da ogni sguardo di costui.