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I MARENGHI.



Passacantando entrò, sbattendo forte le vetrate malferme. Scosse rudemente dalle spalle le gocce di pioggia; poi si guardò in torno, togliendosi dalla bocca la pipa e lasciando andare contro il banco padronale un lungo getto di saliva, con un atto di noncuranza sprezzante.

Nella taverna il fumo del tabacco faceva come una gran nebbia turchiniccia, di mezzo a cui s’intravedevano le facce varie dei bevitori e delle male femmine. C’era Pachiò, il marinaro invalido, a cui una untuosa benda verde copriva l’occhio destro infermo d’una infermità ributtante. C’era Binchi-Banche, il servitore dei finanzieri, un omiciattolo dal viso giallognolo e rugoso come un limone senza succo, curvo nella schiena, con le magre gambe sprofondate nelli stivali fino ai ginocchi. C’era Magnasangue, il mezzano dei soldati, l’amico delli attori comici, dei giocolieri, dei saltim-