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la contessa d’amalfi. 205


‟No, no!.... Zitta! Tu la pettinavi; è vero? Tu la mettevi nel bagno; è vero?”

Egli si mise a baciare le mani di Rosa, quelle mani che pettinavano, che lavavano, che vestivano Violetta. Tartagliava, baciandole; faceva versi così strani che Rosa a fatica poteva ritenere le risa. Ma ella finalmente comprese; e da femmina accorta, sforzandosi di rimanere in serietà, calcolò tutti i vantaggi ch’ella avrebbe potuto trarre dalla melensa commedia di Don Giovanni. E fu docile; si lasciò accarezzare; si lasciò chiamare Violetta; si servì di tutta l’esperienza acquistata guardando pel buco della chiave ed origliando tante volte all’uscio della padrona; cercò anche di rendere la voce più dolce.

Nella stanza ci si vedeva appena. Dalla finestra aperta entrava un chiarore roseo; e li alberi del giardino, quasi neri, stormivano. Dai pantani dell’Arsenale giungeva il gracidare lungo delle rane. Il romorío delle strade cittadine era indistinto.

Don Giovanni attirò la donna su le sue ginocchia; e, tutto smarrito, come se avesse bevuto qualche liquore troppo ardente, balbettava mille leziosaggini puerili, pargoleggiava, senza fine, accostando la sua faccia a quella di lei.