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204 la contessa d’amalfi.


‟Andatevene ora! Andatevene!” balbettò tra le lacrime Don Giovanni.

Don Grisostomo Troilo diede l’esempio. Li altri seguirono. E per le scale cicalavano.

Come venne la sera, l’abbandonato si sollevò, a poco a poco. Una voce femminile chiese, all’uscio:

‟È permesso, Don Giovanni?”

Egli riconobbe Rosa Catana e provò d’un tratto una gioia istintiva. Corse ad aprire. Rosa Catana apparve, nella penombra della stanza.

Egli disse:

‟Vieni! Vieni!”

La fece sedere a canto a sè, la fece parlare, l’interrogò in mille modi. Gli pareva di soffrir meno, ascoltando quella voce familiare in cui egli per illusione trovava qualche cosa della voce di Violetta. Le prese le mani.

‟Tu la pettinavi; è vero?”

Le accarezzò le mani ruvide, chiudendo li occhi, co ’l cervello un po’ svanito, pensando all’abbondante capellatura disciolta che quelle mani avevano tante volte toccata. Rosa, da prima, non comprendeva; credeva a qualche subitaneo desiderio di Don Giovanni, e ritirava le mani mollemente, dicendo delle parole ambigue, ridendo. Ma Don Giovanni mormorò: