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la contessa d’amalfi. 203

misericordia. ‟Ella faceva questo, questo e quest’altro.”

Don Giovanni, straziato, tentava di tanto in tanto un gesto per interrompere, per non udire quelle vergogne. Ma i due seguitavano. Sopraggiunsero anche Don Pasquale Virgilio, Don Pompeo Nervi, Don Federico Sicoli, Don Tito De Sieri, quasi tutti i parassiti, insieme. Essi, così collegati, diventavano feroci. ‟Violetta Kutufà s’era data a Tizio, a Caio, a Sempronio.... Sicuro! Sicuro!” Esponevano particolarità precise, luoghi precisi.

Ora Don Giovanni ascoltava, con li occhi accesi, avido di sapere, invaso da una curiosità terribile. Quelle rivelazioni, in vece di disgustarlo, alimentavano in lui la brama. Violetta gli parve più desiderabile ancora e più bella; ed egli si sentì mordere dentro da una gelosia furiosa che si confondeva col dolore. Subitamente, la donna gli apparve nel ricordo atteggiata ad una posa molle. Egli non la vide più che così. Quell’imagine permanente gli dava le vertigini. ‟Oh Dio! Oh Dio! Oh! Oh!” Egli ricominciò a singhiozzare. I presenti si guardarono in volto e contennero il sorriso. In verità, il dolore di quell’uomo pingue, calvo e deforme aveva un’espressione così ridicola che non pareva reale.