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la contessa d’amalfi. 199


Poi sorgeva l’Areopagita, col flauto. Una malinconia immensa prendeva li uditori, a quel suono, uno sfinimento dell’anima e del corpo. Tutti stavano col capo basso, quasi chino su ’l petto, in attitudini di sofferenza.

In ultimo, uscivano in fila, l’uno dietro l’altro. Come avevano presa la mano di Violetta, un po’ di profumo, d’un forte profumo muschiato, restava loro nelle dita; e n’erano turbati alquanto. Allora, nella via si riunivano in crocchio, tenevano discorsi libertini, si rinfocolavano, cercavano d’immaginare le occulte forme della cantatrice; abbassavano la voce o tacevano, se qualcuno s’appressava. Pianamente se ne andavano sotto il palazzo di Brina, dall’altra parte della piazza. E si mettevano a spiare le finestre di Violetta ancora illuminate. Su i vetri passavano delle ombre indistinte. A un certo punto, il lume spariva, attraversava due tre stanze; e si fermava nell’ultima, illuminando l’ultima finestra. Dopo poco, una figura veniva innanzi a chiudere le imposte. E i riguardanti credevano riconoscere la figura di Don Giovanni. Seguitavano ancora a discorrere, sotto le stelle; e di tanto in tanto ridevano, dandosi delle piccole spinte a vicenda, gesticolando. Don Antonio Brattella, forse per effetto della luce