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190 la contessa d’amalfi.

appreso dal primo amoroso giovine d’una compagnia drammatica di Chieti.

Violetta Kutufà non rispose. Ella si divertiva a guardare il concorso della gente verso il banco di Andreuccio che distribuiva rinfreschi gridando il prezzo ad alta voce, come in una fiera campestre. Andreuccio aveva una testa enorme, il cranio polito, un naso che si curvava su la sporgenza del labbro inferiore poderosamente; e somigliava una di quelle grandi lanterne di carta, che hanno la forma d’una testa umana. I mascherati mangiavano e bevevano con una cupidigia bestiale, spargendosi su li abiti le briciole delle paste dolci e le gocce dei liquori.

Vedendo Don Giovanni, Andreuccio gridò:

‟Signò, comandate?”

Don Giovanni aveva molte ricchezze, era vedovo, senza parenti prossimi; cosicchè tutti si mostravano servizievoli per lui e lo adulavano.

‟’Na cenetta,” rispose. ‟Ma!...”

E fece un segno espressivo per indicare che la cosa doveva essere eccellente e rara.

Violetta Kutufà sedette e con un gesto pigro si tolse la mascherina dal volto ed aprì un poco su ’l seno il dominò. Dentro il cappuccio scarlatto la sua faccia, animata dal calore, pareva più pro-