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la contessa d’amalfi. 189

ai capelli quasi fiammeggianti, vestita da forosetta, con audacia senza pari, aveva il busto di seta sostenuto da un solo nastro che contornava l’appiccatura del braccio; e, nella danza, a tratti le si vedeva una macchia scura sotto le ascelle. Amalia Gagliano, la bella dalli occhi cisposi, vestita da maga, pareva una cassa funeraria che camminasse verticalmente. Una specie di ebrietà teneva tutte quelle fanciulle. Esse erano alterate dall’aria calda e densa, come da un falso vino. Il lauro e la mortella formavano un odore singolare, quasi ecclesiastico.

La musica cessò. Ora tutti salivano i gradini conducenti alla sala dei rinfreschi.

Don Giovanni Ussorio venne ad invitare Violetta a cena. L’Areopagita, per mostrare d’essere in grande intimità con la cantatrice, si chinava verso di lei e le susurrava qualche cosa all’orecchio e poi si metteva a ridere. Don Giovanni non si curò del rivale.

‟Venite, contessa?” disse, tutto cerimonioso, porgendo il braccio.

Violetta accettò. Ambedue salirono i gradini, lentamente, con Don Antonio dietro.

‟Io vi amo!” avventurò Don Giovanni, tentando di dare alla sua voce un accento di passione