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188 la contessa d’amalfi.

cadenza, cercando parer leggero e molle come una piuma, con atti di grazia così goffi e con smorfie così scimmiescamente mobili che in torno a lui le risa e i motti dei pulcinella cominciarono a grandinare.

‟Un soldo si paga, signori!”

‟Ecco l’orso della Polonia, che balla come un cristiano! Mirate, signori!”

‟Chi vuol nespoleeee? Chi vuol nespoleeee?”

‟’O vi’! ’O vi’! L’urangutango!”

Don Antonio fremeva, dignitosamente, pur seguitando a ballare.

In torno a lui altre coppie giravano. La sala si era empita di gente variissima; e nel gran calore le candele ardevano con una fiamma rossiccia, tra i festoni di mortella. Tutta quell’agitazione multicolore si rifletteva nelli specchi. La Ciccarina, la figlia di Montagna, la figlia di Suriano, le sorelle Montanaro apparivano e sparivano, mettendo nella folla l’irraggiamento della loro fresca bellezza plebea. Donna Teodolinda Pumèrici, alta e sottile, vestita di raso azzurro, come una madonna, si lasciava portare trasognata; e i capelli sciolti in anella le fluttuavano su li omeri. Costanzella Caffè, la più agile e la più infaticabile fra le danzatrici e la più bionda, volava da un’estremità all’altra in un baleno. Amalia Solofra, la rossa dai capelli