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la contessa d’amalfi. 177


Egidio venne. Egli era il tenore giovine. Come aveva il petto singolarmente incavato, le gambe un po’ curve, rassomigliava un cucchiaio a doppio manico, su ’l quale fosse appiccicata una di quelle teste di vitello raschiate e pulite che si veggono talvolta nelle mostre dei beccai.

Tilde! il tuo labbro è muto,
Abbassi al suol gli sguardi.
Un tuo gentil saluto,
Dimmi, perchè mi tardi?
È la tua man tremante....
Fanciulla mia, perchè?

E Tilde, con un impeto di sentimento:

In sì solenne istante
Tu lo domandi a me?

Il duetto crebbe in tenerezza. Le melodie del cavaliere Petrella deliziavano le orecchie delli uditori. Tutte le signore stavano chinate su ’l parapetto delle tribune, immobili, attente; e i loro volti, battuti dal riflesso del verde delle bandiere, impallidivano.

Un cangiar di paradiso
Il morir ci sembrerà!

Tilde uscì; ed entrò, cantando, il duca Carnioli ch’era un uomo corpulento e truculento e zazzeruto come ad un baritono si addice. Egli can-