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168 la contessa d’amalfi.


Don Domenico, stupefatto, lo seguiva.

‟Ma.... Don Giovà!... sentite.... ma....”

Don Giovanni non voleva ascoltare. Camminava innanzi, a passi lesti, verso la sua casa. Le fruttivendole e i maniscalchi lungo la via guardavano, senza capire, l’inseguimento di quei due uomini affannati e gocciolanti di sudore sotto il solleone.

Giunto alla porta. Don Giovanni, che quasi stava per scoppiare, si voltò come un aspide, giallo e verde per la rabbia.

‟Don Domè, o Don Domè, io ti do in capo!”

Ed entrò, dopo la minaccia; e chiuse la porta dietro di sè con violenza.

Don Domenico, sbigottito, rimase senza parole in bocca. Poi rifece la via, pensando quale potesse essere la causa del fatto. Matteo Verdura, uno dei mangiatori di fichi, chiamò:

‟Venite! venite! Vi debbo dire ’na cosa grande.”

‟Che cosa?” chiese l’uomo di schiena lunga, avvicinandosi.

‟Non sapete niente?”

‟Che?”

‟Ah! Ah! Non sapete niente ancora?”

‟Ma che?”

Verdura si mise a ridere; e li altri ciabattini