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166 la contessa d’amalfi.

stato un momento con lo sguardo fisso al bacino di zinco, dove l’acqua scintillava ora sotto un raggio. ‟Oh! Oh! che cosa! Oh!”

E si prese la testa fra le mani, e due o tre volte oscillò come fanno talora li chimpanzè prigionieri.

‟Via, Don Giovannino, via!” diceva Rosa Catana, prendendolo pianamente per un braccio e tirandolo.

Nella piccola camera il profumo pareva crescere. Le mosche ronzavano innumerevoli in torno a una tazza dov’era un residuo di caffè. Il riflesso dell’acqua nella parete tremolava come una sottil rete di oro.

‟Lascia tutto così!” raccomandò Don Giovanni alla femmina, con una voce interrotta dai singulti mal repressi. E discese le scale, scotendo il capo su la sua sorte. Egli aveva li occhi gonfi e rossi, a fior di testa, simili a quelli di certi cani di razza impura. Il suo corpo rotondo, dal ventre prominente, gravava su due gambette un poco volte in dentro. In torno al suo cranio calvo girava una corona di lunghi capelli arricciati, che parevano non crescere dalla cotenna ma dalle spalle e salire verso la nuca e le tempie. Egli con le mani inanellate, di tanto in tanto, soleva