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146 la morte di sancio panza.


‟Non c’è’ dunque rimedio?”

‟Tentiamo. Io consiglio l’applicazione di un cerotto vescicatorio alla nuca,” rispose il dottore licenziandosi in ultimo amabilmente.


Sancio voleva discendere dalla poltrona. Esitava su l’orlo, non avendo la forza di spiccare il salto, implorava l’aiuto con li occhi fievoli che già si velavano come due acini d’uva nera suffusi dalla pruina argentea della maturità. Ne’ suoi tratti il dolore a poco a poco metteva dei cavi e delle ombre senili; le tinte rosee del muso, dove i peli erano lunghi e radi, pareva si corrompessero divenendo quasi giallastre; le orecchie mozze avevano di tratto in tratto un tremolio leggerissimo; e nello stesso tempo un brivido passava a traverso il pelame bianco visibilmente.

Allora Isabella, la più eterea delle cinque fanciulle, che per crudeltà della sorte ereditava dal padre il pio naso borbonico e la fronte leprina, si accostò tutta commossa e prese l’infermo fra le mani delicate per posarlo a terra.

Sancio prima rimase fermo un istante, senza poter muovere i passi, con il dorso arcuato, e la testa in alto, oppresso dall’affanno del respiro; poi cominciò a trascinarsi, barcollando, con lo