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Parte prima 31

distrutta da una vita sfrenata; il volto verdognolo, per riflesso del tappeto verde, del conte Balsamo; otto o dieci ufficiali di cavalleria, tre o quattro di marina, attirati nell’esercito, o nell’armata, da quell’indistinto desiderio di fare qualche cosa, che ha ogni giovane; una gioventù intelligente più che non sembri, indolente per partito preso, troppo ben vestita, troppo ben pettinata, meno corrotta delle altre, coi suoi personaggi che si rassomigliano troppo, senza individualità quasi decalcata per tante copie, sopra un sol figurino. Poi gli uomini ammogliati, i capi di famiglia; due o tre senatori per censo o per nobiltà, che non andavano mai al Senato; qualche vecchio residuo della razza antica, di quei principi democratici, amanti dei bei quadri, delle belle statue, dei gagliardi commensali; un gruppo di amministratori comunali che aspiravano alla deputazione e di cui la politica arrivava a ridestare l’ambizione; un gruppo di semplici gaudenti. In un angolo il vecchio conte Margari, matto per la musica, che aveva conosciuto tutti i cantanti ed i compositori celebri dei suoi tempi, che andava a sentire i moderni, con una malinconica scrollatina del capo; poco lungi il marchesino Caranni, la più fertile immaginazione per creare un cotillon, un marchesino piccolo, grazioso, con una testolina svegliata di furetto, e il conte Mottola, che a stare sempre fra i cavalli, a parlar loro, a parlare di essi, aveva acquistato una certa lunghezza della testa, un movimento della mascella inferiore che lo faceva rassomigliare vagamente ad una testa di cavallo; il duca di Torremare, un uomo brutto di cui tutte le donne s’innamoravano, senza che egli si degnasse di far loro la corte; infine, ogni notabilità, ogni individuo, ogni novella forma di quella società che pare immobile, ma che vive e progredisce come tutte le altre, piccola nella grande.