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290 Cuore infermo

Egli le sorrise quasi per ringraziarla ed andò via. Ella ricadde come morta sul divano; non avrebbe potuto celarsi un solo minuto di più. Lungo-distesa, le gambe abbandonate, una pianella caduta sul tappeto, le braccia prosciolte, le mani raggrinzate, la testa riversa sulla spalliera, in una posizione straziante, la bocca semiaperta, le nari dilatate, gli occhi nuotanti nelle lagrime, ella non viveva che nelle fortissime pulsazioni del cuore ammalato. La regione del cuore si abbassava e si rialzava con un movimento affrettato che faceva paura; tutto il petto si dilatava quasi volesse assorbire l’aria che gli sfuggiva; la gola si gonfiava nel desiderio dell’aria. Non una parola, non un gemito, non un pensiero, non un’idea di chiedere, di avere soccorso. Solo l’orribile tumulto della ipertrofia, la paura immensa di morire soffocata in quel punto. Tutta la vita, tutte le sensazioni, tutte le impressioni, tutto il suo essere in quel cuore, che batteva precipitosamente contro la parete del petto. La batista leggera e ricamata della camicia e della sottoveste, la lana morbida e fina dell’abito, le parevano di piombo. L’accesso si prolungava più del solito. Pensò di nuovo che sarebbe morta. Volle rialzarsi, suonare il campanello, far accorrere gente, far venire Marcello. Non potette, il male l’aveva atterrata. Pensò alla mamma. Ma quasi che il solo pensiero di lei potesse riuscirle benefico, ella udì quel lievissimo scricchiolìo, quasi un soffio appena percettibile, che le dava il segno della fine dell’accesso. — «Sono salva» — disse fra sè con la gioia di chi risuscita alla vita. E attese con pazienza che si rassettasse poco a poco il moto del cuore, che la circolazione del sangue rincominciasse il suo doppio giro regolare, ridonando la forza ed il vigore a tutte le parti del corpo abbandonate ed ammiserite; si stro-