Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
278 | Cuore infermo |
sensazione di un grande rinnovellamento e di un grande struggimento, come se quella fiamma li facesse rivivere della loro consumazione. All’alba delle loro notti d’amore, all’imbrunire delle loro giornate d’amore, taciti, pallidi, col cuore sfinito, la volontà abbattuta, le labbra arse, disseccate dai baci, in un lento giro del pensiero, essi percepivano una sola idea, un sol desiderio strano, vagante, mormorante: morire... morire... Poi, in quell’accasciamento, in quella mollezza, in quell’aspirazione indistinta ad un riposo lungo, eterno, l’anima si quietava, riprendeva alla inesausta sorgente la sua forza e la sua freschezza, si ritemprava, per risorgere giovine ed energica col bisogno prepotente di amare ancora.
Del cattivo passato, nulla. Erano entrati nella festa immensa delle loro nozze, giovani, nuovi, con la sola esuberante coscienza di amare. Un amore che aveva goduto solitariamente le sue albe grige, un po’ fredde, che appena si coloravano di roseo, le sue incipienze delicate, gentili, i suoi turbamenti primaverili, la sua vita nascente; un amore che aveva atteso, accumulandosi e profondandosi, il suo meriggio appassionato, quando la sensazione e l’espressione non si possono staccare più, quando la forma e la materia dell’amore si compenetrano, quando realtà e idealità si fondono in una sola manifestazione. All’alba argentina non pensavano più, si trovavano nell’oro biondo del mezzogiorno. E non era che un balbettìo incomposto, interrotto, profondo della passione che cresciuta, cresciuta, soffocata, soffocata, trova malagevolmente la via dell’espansione e si contorce in isforzi prodigiosi, tutti interni, e pare voglia spezzare violentemente il debole involucro delle fibre: simile al cupo brontolìo della lava vulcanica che scuote i fianchi del monte in convulsioni orribili, fino a che possa sgorgare da tutte le parti in ruscelli fiam-