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xiii - fuga del re 75

il re!». Il re era alla finestra; vide l’imponente forza del popolo e, diffidando di poterla reggere, incominciò a temerla. Allora la partenza fu risoluta.

Furono imbarcati sui legni inglesi e portoghesi i mobili piú preziosi de’ palazzi di Caserta e di Napoli e le raritá piú pregevoli de’ musei di Portici e Capodimonte, le gioie della corona e venti milioni e forse piú di moneta e metalli preziosi non ancora coniati, spoglio di una nazione che rimaneva nella miseria. La corte di Napoli avea tanti tesori inutili, ed intanto avea ruinata la nazione con un disordine generale nell’amministrazione, con un vuoto nelle finanze e ne’ banchi; avea minata la nazione, mentre potea accrescer la sua potenza, rendendola piú felice: la corte di Napoli dunque avea sempre pensato piú a fuggire che a restare! S’imbarcò di notte, come se fuggisse il nemico giá alle porte; e la mattina seguente (21 dicembre) si lesse per Napoli un avviso, col quale si faceva sapere al popolo napolitano che il re andava per poco in Sicilia per ritornare con potentissimi soccorsi, ed intanto lasciava il general Pignatelli suo vicario generale fino al suo ritorno.

Il popolo mostrò quella tacita costernazione, la quale vien meno dal timore che dalla sorpresa di un avvenimento non previsto. Ne’ primi giorni che il re per tempo contrario si trattenne in rada, tutti corsero a vederlo ed a pregarlo perché si restasse; ma gl’inglesi, i quali giá lo consideravano come lor prigioniere, allontanavano tutti come vili e traditori. Il re non volle o non gli fu mai permesso di mostrarsi. Questi duri e non meritati disprezzi, la memoria delle cose passate, la perdita di tante ricchezze nazionali, i mali presenti, passati e futuri diedero luogo alla riflessione e scemarono la pietá. Il popolo lo vide partire a’ 23 dicembre senza dispiacere e senza gioia.