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agenti non fedeli, e la nazione allora cade in quel deplorabile stato, in cui dagl’impieghi sperasi non tanto l’onore di servir la patria quanto il diritto di spogliarla. Allora la nazione è inondata da quelle «vespe» giudicatrici, che tanto ci fanno ridere sulle scene di Aristofane.

La nostra capitale incominciava ad essere affollata da quest’insetti, i quali, colla speranza di un miserabile impiego subalterno, trascurano ogni fatica: intanto i vizi ed i capricci crescono coll’ozio, ed, il miserabile soldo che hanno non crescendo in proporzione, sono costretti a tenere nell’esercizio del loro impiego una condotta la quale accresca la loro fortuna a spese della fortuna dello Stato e del costume della nazione. Io giudico della corruzione di un governo dal numero di coloro che domandano un impiego per vivere: l’onesto cittadino non dovrebbe pensare a servir la patria se non dopo di avere giá onde sussistere. Roma, nell’antica santitá de’ suoi costumi, non concedeva ad altri quest’onore. Cosí il disordine dell’amministrazione è la piú grande cagione di pubblica corruzione.

Sul principio il disordine nelle finanze attaccò i piú ricchi; ma, siccome la loro classe formava anche la classe degl’industriosi, e da questi il rimanente del popolo viveva, cosí il disordine attaccò l’anima dello Stato, e tra poco tutte le membra doveano risentirsene egualmente.

Nulla bastava alla corte di Napoli. Non bastò il danaro ritratto dallo spoglio delle Calabrie: si rimisero in uso i «donativi »; non passò anno senza che ve ne fosse uno. Finalmente neanche i «donativi» furono sufficienti, ed incominciaron le operazioni de’ banchi.

I banchi di Napoli erano depositi di danaro di privati, ai quali il governo non prestava altro che la sua protezione. Erano sette corpi morali, che tutti insieme possedevano circa tredici milioni di ducati ed ai quali la nazione ne avea affidati ventiquattro. Le loro carte godevano il massimo credito, tra perché ipotecate sopra fondi immensi, tra perché un corpo morale si crede superiore a quegli accidenti a cui talora va soggetto un privato, tra perché tenevano sempre i banchi il danaro di cui