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nota 359

drammaticitá di esposizione; insomma tutti gli squisiti pregi letterari che ammiriamo nel Saggio storico, si possono conseguire non giá da un brillante improvvisatore, ma soltanto da chi, oltre all’aver conquistato, dopo lunga meditazione e talvolta aspra lotta, il filo conduttore che deve guidarlo nella diffícile via, possegga cosí pienanemente, anche nei particolari, il proprio argomento, da potersi porre a tavolino, secondo la frase volgare, col libro bello e scritto nel cervello. E qual cosa, piú che gli ozi del carcere, e i discorsi, i ricordi, i rimpianti di tanti attori, grandi e piccoli, dell’immane tragedia, potevano invitare il Cuoco a meditare sugli avvenimenti di cui era stato spettatore silente ma riflessivo, e a coordinare in un tutto organico le critiche che al suo finissimo senso storico s’erano presentate spontanee, ogni qual volta la traballante repubblica partenopea commetteva qualcuno di quella lunga serie di errori, che dovevano trarla alla rovina?

Comunque, e senza piú insistere su questo particolare, certo è che il Cuoco, non appena riacquistò la libertá e fin da quando si trovava sul vascello che da Napoli lo trasportava a Marsiglia (dove sbarcò il 5 maggio 18001, si mise o si rimise a stendere quell’opera, sulla quale egli stesso diceva di fondare tutte le sue speranze; che la proseguí nei ritagli di tempo fra le sue peregrinazioni per la Francia, che la compié a Milano, ove era giunto l’11 decembre 18002. Poco verisimile mi sembra quindi l’opinione espressa da taluno3, che incentivo al Cuoco per iscrivere il Saggio sia stato il successo ottenuto dal Rapporto al cittadino Carnot del Lomonaco; per quanto sia possibile che del Rapporto (e anche forse della familiare convivenza col Lomonaco) il Cuoco si sia nell’opera sua utilmente giovato4.

Senonché, averla scritta non bastava: bisognava ora pubblicarla; e al Cuoco, che non aveva un soldo e tirava avanti Dio sa come la vita, ciò riusciva impossibile.

  1. Per questa data si vedano gli Studi del Croce, p. 347 n.
  2. «Travaglio ad un’operetta che avea cominciata sopra la barca, che avea proseguita nel viaggio di Francia e su di cui fondava tutte le mie speranze». Lettera al fratello Michele Antonio, del 7 genn. 1803, pubbl. dal Cogo, op. cit., p. 127.
  3. Ruggieri, op. cit., p. 29.
  4. Si vedano a questo proposito le osservazioni del Natali, nell’opuscolo oltre citato. Senonché potrebbe anche darsi che della familiaritá col C. si sia giovato il Lomonaco, nello scrivere il Rapporto.