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338 rapporto al cittadino carnot


La repubblica cade... Pagano, ad onta della capitolazione e malgrado le sue virtú, è gettato nella piú orrida prigione dagli spietati agenti di Carolina, da’ quali in séguito viene strascinato al palco in uno stato di pura impassibilitá, tributando gli ultimi suoi sospiri alla patria.

La natura avea sbagliato di produrre Domenico Cirillo in Napoli e in questo secolo. Egli dovea nascere nell’antica Roma ventidue in ventitré secoli addietro. Le qualitá eminenti, che lo adornavano, erano in gran numero, ed ognuna di esse sarebbe stata sufficiente a formare un grand’uomo.

Cirillo avea idee le piú nette e le piú sublimi della morale, la quale, ravvisandosi nella sua fisonomia caratteristica e nel suo portamento, era praticata dal suo cuore, sempre aperto a’ sentimenti della pietá e della beneficenza verso altrui. Questi era un Catone che si trovava in mezzo alla feccia di Romolo.

Egli solea dire: — Io avrei soggiornato in Londra o in Parigi, se l’amore di mia madre non mi avesse costretto ad abitare questa terra di oppressione. — Qual rispetto per questa vecchia madre! Qual tenerezza, qual venerazione ei le prestava!

La di lui professione era la medicina, ch’egli conosceva a fondo. La sfigmica, che s’ignora in Europa e che nella Cina è cosí ben conosciuta, facea parte del tesoro delle di lui conoscenze. Uno studio lungo, un corso non interrotto di osservazioni di venti anni gli fecero acquistare la vera cognizione de’ polsi.

Era grande nella chimica, ma era un genio nella botanica, la quale non avea studiata ne’ libri degli uomini, che spesso son bugiardi, ma nella natura, che non inganna mai i suoi veri e fedeli interpreti. L’Inghilterra, la Francia, le Alpi, i Pirenei, il Vesuvio, l’Etna erano state la scuola, in cui aveva appresa questa benefica facoltá.

Quanto era piú ammirabile nell’esercizio della scienza della salute! Le sue cure estendendosi egualmente sul ricco che sul povero, egli versava sull’ultimo il balsamo della pietá, sovente a discapito della sua borsa.

Per gli suoi rari talenti venne eletto medico della corte; ma l’austera sublimitá delle sue virtú non si volle abbassare alle viltá di un cortigiano. Egli trovava nell’oscuritá della vita privata un incanto ed una gioia, che non si gusta a traverso il vano splendore della grandezza, e massime vicino al trono. Egli, non sapendo né