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rapporto al cittadino carnot 337


Pagano non è stato solamente uno scrittore: egli merita di essere considerato sotto il rapporto di uomo e di cittadino. Modesto, placido, probo, sensibile, era amato da tutti, giacché era l’amico di ognuno. Nella cattedra si sforzava di dar l’anima al cadavere della barbarie col soffio della filosofia e della ragione; nel fòro, quando era avvocato, era il disinteressato difensore de’ diritti dell’umanitá; quando fu investito della toga, fu l’organo delle leggi e non disuní mai la giustizia dalla moderazione.

Carcerato a cagione de’ suoi princípi repubblicani, fu tranquillo come Epitteto, Ricuperata ch’ebbe la libertá individuale, non potè soffrire l’aspetto del governo tirannico, ed affrontò un volontario esilio.

Fondata la repubblica, ritornò in Napoli, dove, condotto in seno della rappresentazione nazionale, si consacrò con fervore ai sacri interessi della patria ed alla causa della libertá. La costituzione, che diede fuori, era il capo d’opera della politica, giacché racchiudeva tutt’i vantaggi delle altre, senza averne i difetti. Egli considerava che il vizio, il quale faceva traballare le moderne repubbliche, era appunto che non vi era una barriera tra il potere esecutivo e legislativo. Sicché un terzo potere egli immaginò, che opponesse un argine alle usurpazioni dell’uno e dell’altro e mantenesse l’equilibrio della macchina politica, servendo come di sentinella alla libertá.

Pagano solea dire che la libertá è il risultato di tutte le idee ed i princípi della morale, e ch’ella è la mezza proporzionale tra’ due estremi, la licenza e la servitú. Egli desiderava che le cariche rilevanti non si fossero accordate a persone prive di probitá e di talenti; che la santa morale ed il costume fossero la dote del moderno patriotismo, come lo erano dell’antico; che le risoluzioni della tribuna pubblica, figlie dell’effervescenza, dell’entusiasmo, non attraversassero i passi del governo, i quali dovevano essere guidati dalla fredda ragione.

Non so se le sue grida furono ascoltate tra le grida volgari... La repubblica giunse all’orlo del precipizio, e la di lui anima si abbandonò al piú profondo dolore... La tristezza si vedeva dipinta sul suo viso, e gli accenti della collera erano spesso interrotti dalle lagrime. Intanto negli estremi pericoli della patria egli non mancò di prendere le armi, rinserrandosi in uno de’ forti. Cosí, passando dal senato al campo, il Solone di Napoli ne divenne il Curzio.

V. Cuoco, Saggio storico. 22