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326 rapporto al cittadino carnot

soffocati dalle fiamme e dalle armi dell’intolleranza religiosa. Da per tutto i diritti dell’uomo son calpestati, la santa libertá annichilita, le leggi della natura vilipese. Da per tutto un’occulta forza di ripulsione politica genera la diffidenza e l’odio tra’ cittadini; ed, invocando spesso l’aiuto delle potenze straniere, colla leva del fanatismo, che trova il punto d’appoggio ne’ cieli, inabissa le popolazioni ne’ precipizi della schiavitú.

Cosí il gran lama di Occidente, per assicurarsi il trono della opinione, non avendo altro arsenale che quello dell’impostura, altro esercito che preti e frati, ed altre armi che la discordia e la lite, praticò senza interruzione la massima: «Divide et impera». Cosí quella religione, che influí sulla decadenza dell’impero romano, fu il principale strumento della corruzione, della debolezza e della totale caduta della nazione italiana.

È vero che tutte le popolazioni del mondo cattolico soggiacquero alle sciagure che produceva la corte di Roma; ma l’Italia, ch’era il centro della superstizione, ne sentí maggiormente il peso. L’errore, simile all’attrazione, è in ragion inversa de’ quadrati delle distanze.

Sicché gl’italiani, degradati e snaturati dal peggiore e dal piú esecrando de’ culti, isolati fra loro da muri di separazione, non hanno avuto piú né governo né morale né patria né nazione; non sono stati piú né uomini né cittadini: ed i settentrionali popoli, da schiavi ch’erano, si hanno disputato il dominio di questo delizioso paese, ch’è dimorato in uno stato puramente passivo. A’ Camini, agli Scipioni, a’ Pompei sono succeduti i compassionevoli marchesi, duchi, conti, ecc., i quali colle loro denominazioni grottesche hanno imposto tanto a’ popoli, quanto i primi avevano de’ titoli alla gloria ed alla pubblica stima coll’ascendente delle loro gesta. Da per tutto preti e frati, devoti ed ipocriti, oppressori ed oppressi, poveri in gran numero e pochi opulenti, vassalli e baroni, uomini corruttori e corrotti1

  1. «... corrumpere et corrumpi saeculum vocatur» è d’applicarsi alla nostra maniera di vivere passata e presente.