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che gridare «Viva la repubblica!», ed intanto aspettare che i francesi la fondassero, come se fosse possibile fondare una repubblica colle forze di un’altra nazione! Nel dipartimento il piú democratico della terra, colle forze imponenti di Altamura, di Avigliano, di Potenza, di Muro, di Tito, Picerno, Santofele, ecc. ecc., Mastrangiolo perdette il suo tempo nell’indolenza. I bravi uffiziali, che aveva attorno, lo avvertirono invano del pericolo che lo premeva: l’insorgenza crebbe e lo costrinse a fuggire.


XXXIII


SPEDIZIONE DI SCHIPANI



Schipani rassomiglia Cleone di Atene e Santerre di Parigi. Ripieno del piú caldo zelo per la rivoluzione, attissimo a far sulle scene il protagonista in una tragedia di Bruto, fu eletto comandante di una spedizione destinata a passar nelle Calabrie, cioè nelle due province le piú difficili a ridursi ed a governarsi per l’asprezza dei siti e per il carattere degli abitanti. Non avea seco che ottocento uomini, ma essi erano tutti valorosi e di poco inferiori di numero alla forza nemica.

Schipani marcia: prende Rocca di Aspide, prende Sicignano. A Castelluccia trova della gente riunita e fortificata in una terra posta sulla cima di un monte di difficilissimo accesso.

Vi erano però mille strade per ridurla. Castelluccia era una picciola terra, che potea senza pericolo lasciarsi dietro. Egli dovea marciare diritto alle Calabrie, ove eranvi diecimila patrioti che lo attendevano; ove Ruffo non era ancora molto forte, ed andava tentando appena una controrivoluzione, di cui forse egli stesso disperava; e, discacciato una volta Ruffo, tutte le insorgenze della parte meridionale della nostra regione andavano a cedere. Ma Schipani non seppe conoscere il nemico che dovea combattere, né seppe, come Scipione, trascurare Annibale per vincere Cartagine.