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xvi - stato della nazione napolitana 93

e, quando questo nuovo sovrano gli avesse restituiti i suoi diritti, esso ne avrebbe ben accettato il dono.

Le insorgenze ardevano solamente in pochi luoghi, i quali, perché erano stati il teatro della guerra, erano ancora animati dai proclami del re, dalla guerra istessa, che, a forza di farci finger odio, ci porta finalmente alla necessitá di odiare da vero, e dalla condotta di taluni officiali francesi, i quali, armati e vincitori, non sempre si ricordavano del giusto. La gran massa della nazione intese tranquillamente la rivoluzione e stette al suo luogo: le insorgenze non iscoppiarono che molto tempo dopo.

Vi furono anche molte popolazioni, le quali spinsero tanto avanti l’entusiasmo della libertá, che prevennero l’arrivo de’ francesi nella capitale e si sostennero colle sole loro forze contro tutte le armi mosse dal re, anche dopo che la capitale si era resa. Tutte queste forze riunite insieme avrebbero potuto formare una forza imponente, se si avesse saputo trarne profitto.

La popolazione immensa della capitale era piú istupidita che attiva. Essa guardava ancora con ammirazione un cangiamento, che quasi avea creduto impossibile. In generale, dir si poteva che il popolo della capitale era piú lontano dalla rivoluzione di quello delle province, perché meno oppresso da’ tributi e piú vezzeggiato da una corte che lo temeva. Il dispotismo si fonda per lo piú sulla feccia del popolo, che, senza cura veruna né di bene né di male, si vende a colui che meglio soddisfa il suo ventre. Rare volte un governo cade che non sia pianto dai pessimi; ma deve esser cura del nuovo di far sí che non sia desiderato anche dai buoni. Ma forse il soverchio timore, che si concepí di quella popolazione, fece sí che si prendesse troppo cura di lei e si trascurassero le province, dalle quali solamente si doveva, temere, e dalle quali si ebbe infatti la controrivoluzione.