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vedi quanto importi allo Stato che i primi a dare i loro nomi per la milizia sieno i figli de’Scipioni e de’ Marcelli!

I romani furon costretti a negoziar la pace, a comprarla. Dopo qualche tempo, questo non bastò: il tributo pagato ai popoli del Settentrione accresceva la loro aviditá. Tutte le provincie furono invase, devastate. Roma istessa quante volte non fu sul punto di esser distrutta? Ma rammenti tu quella invasione de’ svevi, quando, superate le alpi rezie, giunsero vincitori fino a Ravenna e minacciarono Roma dell’ultima sua ruina?

De’ due imperatori, Valeriano era nell’Oriente e Gallieno sul Reno: i romani non aveano altra speranza che in loro stessi. Il pericolo ridestò in loro qualche scintilla dell’antico valore. I senatori presero le armi e si misero alla testa della plebe, che non manca mai di coraggio quando ne ha l’esempio ne’ suoi capi. Gli svevi furono disfatti, Roma fu salvata, e Io sará ogni volta che i patrizi si ricorderanno delle loro antiche virtú: se le riacquisteranno di nuovo, Roma sará di nuovo grande.

Ma vedi, ti prego, come a fomentar l’antica ignavia concorrano anche i nuovi dogmi di una religione santa, la quale, data dal cielo per render migliore il genere umano, diventa, per l’abuso di taluni che la predicano, sorgente di nuova corruzione. Io sono sdegnato contro Paolino vescovo di Nola, uomo per altro di santissima vita e di elegantissimo ingegno, il quale l’armonia de’ suoi versi adopra per convincere i cristiani che essi non debbono trattar le armi de’ pagani. «I cristiani — egli dice — adorano un Dio pacifico e potente». La risposta è facile. Questo Dio di pace vuole che si faccia eterna guerra ai vizi, tra’ quali il primo è quello di abbandonar ne’ suoi pericoli la patria; questo Dio potente non vuole esser tentato invano e non aiuta i vili e gl’imbelli. — ni Dopo aver cosí ragionato, Cassiodoro tacque, e stette tacendo un buon tratto di tempo; ma traspariva dal suo volto che rivolgeva in mente qualche pensiero, ed io rispettai il suo silenzio. Poscia riprese: