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ciarono ad ammollirsi ed odiare la guerra. E che ne avvenne?

Un poco di valor militare rimaneva ancor alla plebe: Mario si uni alla medesima e vi fece tremare; Cesare, dopo Mario, vi debellò. — È perduta la repubblica! — esclamavano, piangendo, i senatori dopo la fatale giornata di Farsaglia. — No — avrei risposto io: — la repubblica era perduta fin da che il senato era diventato tale, quale Cicerone l’avea descritto al suo amico Attico. «Tu mi chiedi — scrivea questo grandissimo uomo — tu mi chiedi qual sia oggi Roma; ed io ti dico che Roma non v’è piú, perché non vi sono piú che pochissimi romani. Vi sono molti seguaci di Cesare e di Pompeo; alcuni seguaci di Catone, li di cui pensieri, sebbene sien retti, pure converrebbero meglio agli uomini della repubblica di Platone che a questa nostra feccia di Romolo; ed il massimo numero è di coloro i quali credono che, perduta la patria, potranno conservare le loro piscine e le ville loro».

Ecco a che si riduce questo diritto di viver ozioso; e cinque secoli di funesta esperienza han dovuto far ben comprendere non esservi privilegio piú funesto. Cesare distrusse il senato. 1 di lui successori trovarono i patrizi vili, ed amaron lasciarli nella loro viltá: contro i nemici dell’impero si servirono prima della plebe, poscia delle truppe straniere. Ma la plebe perde ben presto ogni valore, ogni disciplina, se non ha la guida di coloro i quali possano coi loro esempi ristorar quella virtú, che la plebe non può acquistare per ben istituita educazione. Non sará mai cittá guerriera quella in cui non sono guerrieri i patrizi, quella cittá nella quale l’esenzione dal servizio militare si conta tra i privilegi delle grandi ed onorate persone. Ti ricordi tu di aver mai letto che nell’antica repubblica di Roma vi sia stata necessitá di minacciar carceri e confische ai cittadini che ricusavan di dare i loro nomi per la guerra? Questa viltá non avea pena nelle loro leggi, come non ne avea il parricidio: gli antichi credevano che non potesse esistere. Vedi, al contrario, le pene atrocissime minacciate nelle leggi di Teodosio e de’ suoi successori, pene che mostrano la massima corruzione di tutti gli animi e di tutte le cose; e