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VI

PREFAZIONE A UNA «STORIA DELL’UMANITÀ»

FRAMMENTO

(1806?) Tutto cangia nella natura, e nel mondo morale, che l’uomo si forma colle sue idee, si spererebbe invano quell’eternitá che nel mondo fisico non si ritrova. Le leggi di una nazione non sono quelle di un’altra; i costumi di un secolo non son quelli di un altro secolo; ciò, che ad una generazione sembrò vero, sembra falso ad un’altra; un secolo aborre come il massimo de’ mali ciò che un altro bramò come il massimo de’ beni; il padre non fa che censurare il figlio, mentre il figlio non fa che distrugger l’opera del padre; una nazione invade e distrugge un’altra; gli uomini e le nazioni son come le paglie che nuotano in un vortice immenso e non appariscono che per un momento. Perché l’uomo, dotato sempre della stessa ragione e degli stessi sensi, non pensa e non opera sempre allo stesso modo?

Perché mai le nazioni, aiutate dallo sviluppo della ragione e dall’esperienza de’ secoli passati, non sono giunte ancora a formarsi delle massime evidenti di virtú e delle regole invariabili di felicitá? perché sempre delirano? perché sempre s’ingannano? perché sempre ritornano sulla terra i vizi medesimi ed i medesimi errori? perché, mentre tutti cercano la felicitá, nessuno è felice? perché le stesse massime ed i principi istessi han prodotta la felicitá in un secolo e l’infelicitá in un altro, e quella nazione istessa, che per i suoi lumi si credeva poter accostarsi alla vera coltura ed alla vera felicitá, non ha fatto che accelerare il ritorno della barbarie e la sua ruina?