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adattando con temperanti interpretazioni le leggi antiche ai costumi moderni, sia preparando dolcemente la via alle leggi nuove, ed evitando cosí quelle due cose che in ogni popolo sono sempre pericolosissime: l’intolleranza delle leggi antiche e la soverchia facilitá di farne delle nuove.

Vi sono dunque due utilitá da ritrarsi dallo studio della giurisprudenza: una privata e l’altra pubblica. E di questa seconda intendeva parlar Cicerone, quando diceva: «Che cosa vi è mai tanto grande quanto il diritto della cittá? Ma, dall’altra parte, qual cosa vi è tanto picciola quanto l’officio di coloro che tal diritto espongono al popolo, i quali, contenti di insegnare ciò che debba farsi per uno stillicidio e per una trave confitta al muro, pare che non tanto insegnino la scienza del giusto quanto l’arte de’ cavilli?» b). E questo, checché ne dica lo stesso Cicerone, il quale non si mostra mai libero da dispetto quando parla de’ giureconsulti romani, questo parmi che sia stato il piú gran bene che resero a Roma i giureconsulti medesimi, i quali eran non solo ottimi interpreti ma anche eccellenti autori del diritto della loro patria, e l’antichissima, semplicissima e quasi rozza giurisprudenza de’ primi tempi, a forza di ragionevoli interpretazioni e d’ingegnose «finzioni di diritto», estesero ed adattarono ai sempre cangianti costumi di un popolo, il quale di giorno in giorno si inciviliva, s’ingrandiva, si corrompeva. Io ardisco dire che della sua grandezza Roma la massima parte deve all’ottima sua giurisprudenza civile. Tutti gli altri popoli hanno avuto ed hanno leggi : i soli romani hanno avuta giurisprudenza, perché essi soli hanno avuto nelle loro leggi ragione, sistema, formole solenni. Tutte le parti dell’antica giurisprudenza romana erano strettamente concatenate tra loro: tutte dipendevano dagli stessi principi fondamentali; e questi principi erano incastrati nella stessa costituzione dello Stato e spesso nella stessa religione. La legge cangiava, ma la ragion (I) Cickro, De legibui, I [C.].