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altrui che a correggerci de’ propri. Ambedue debbono esporre veritá del tempo: se lo precedono, sono inutili; se lo seguono, piú inutili ancora. Lo dirò io? Il grand’utile che la tragedia arreca non è quello delle idee che c’insegna; è quello de’ sentimenti che ci desta. Mi pare che Aristotele avea conosciuta questa veritá: la tragedia per lui era veramente spettacolo. La natura, dunque, dello spettacolo che il popolo ama, e non giá la natura dell’ istruzione, è la prima cosa che devesi osservare. La morale delle tragedie inglesi e francesi è la stessa: è lo stesso lo spettacolo? Paragonate i due popoli, e vedete se rassomigliano come la morale, o differiscono come i spettacoli. Crederei che, incominciando dalle opere della passione fino alle attuali comedie urbane o lagrimanti, si potrebbe segnare una progressione nel gusto teatrale: progressione che l’esperienza mostrerebbe analoga a quella del costume di un popolo.

Vorrei che si osservassero le vicende del gusto del popolo in questi spettacoli medesimi. Gl’inglesi delirano ancora, dopo due secoli, per Shakespeare; i francesi credono ancora, dopo un secolo e mezzo, che Molière sia il primo comico dell’universo: non son dieci anni che Goldoni è morto, e noi quasi ci annoiamo alle sue comedie e vogliamo l’abbate De l’Epée, Misantropia e pentimento , ecc. ecc. Io non dico, come taluni, che questo nuovo genere sia un male: a me piacciono tutt’ i generi, quando sono ben trattati. Ma osservo i cangiamenti del gusto della nostra nazione, e trovo che, mentre i francesi hanno avuto bisogno di quasi mezzo secolo di dispute per persuadersi che la musica, che loro avea data Lully, fusse «una vacca secca che galoppava» o «un’oca grassa che volava», noi giá ci annoiamo alle musiche divine di Pergolesi, di Iommelli, le quali appena appena si gustano e si ammirano dai professori e dai dilettanti. Perché tanta tenacitá di gusto presso una nazione e tanta volubilitá presso un’altra? Ecco l’oggetto che io credo interessante, perché credo che abbia strettissimi rapporti collo stato politico della nazione; e, siccome questa volubilitá non si conosce in nessun altro luogo che nel teatro, cosí io credo che nel teatro convenga farne le osservazioni.