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II

DALLA «STATISTICA DELLA REPUBBLICA ITALIANA»

(1802-3)

I

PREFAZIONE

Avendo risoluto di scrivere la Statistica della Repubblica italiana , prima d’incominciare, ho voluto considerar tra me stesso la carriera che mi proponeva a scorrere; e da tali considerazioni è nata l’operetta che ora do alla luce. Ho creduto, per tal modo, render piú facili a me gli aiuti altrui, agli altri il giudizio dell’opera mia. Ho creduto, con Socrate e Bacone, che il saper interrogare fusse la metá della scienza.

La statistica perfetta non può esser l’opera di un uomo solo, perché è impossibile che un uomo solo possa tutto veder da sé; non può esser l’opera di una sola etá, perché, quando anche avvenisse che in un’etá siesi tutto osservato con diligenza e registrato con esattezza, nell’etá seguente tutto sarebbe cangiato, e converrebbe tutto osservar di nuovo. Ma, per poter osservare utilmente in tutt’i luoghi ed in tutti i tempi, è necessario aver nelle operazioni lo stesso metodo e lo stesso disegno: altrimenti, ne avverrá che molti oggetti, i quali, come interessanti, sono osservati in un luogo, in un altro, come frivoli, saran trascurati; le osservazioni di un’etá saranno perdute per l’altra; ed i lavori di molti uomini e di molti secoli posson divenire inutili per mancanza di continuazione e di unitá.

Vi è o non vi è, dunque, quest’arte di osservare, che abbia precetti comuni a tutti gli uomini ed a tutti i tempi, perché tratti dalla ragione universale e dai rapporti eterni delle cose? Ecco il problema che io mi ho proposto di sciogliere.