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civile, e che nell’una e nell’altra societá è odiosa, e potrebbe esser pregiata, è dannosa, e potrebbe esser utilissima. Plutarco ha scritto un bel libro Sull’utile che si può ritrarre dalla malignitá altrui : io avrei molto desiderio che li precetti del buon filosofo di Cheronea si applicassero anche alla critica, e s’insegnasse agli scrittori il frutto che posson ritrarre dalle censure altrui. Pope, nel suo Saggio sulla critica , quasi avea incominciato a farlo, ma si è rimasto nel principio del cammino ed ha lasciata ad altri la gloria di far ciò che egli ha non tentato ma solo indicato.

Ma la societá letteraria ha e deve aver necessariamente due classi di persone: gli osservatori e gli attori, i censori e gli scrittori. Or dalle osservazioni precedenti non crederem noi che possan dedursi de’ precetti, siccome per quelli, cosí anche per questi? Io credo che se ne possano dedurre degli importantissimi, tendenti tutti a farci conoscere in che consista il vero bello, onde né perdiamo le nostre cure dietro un bello fallace, né perdiamo il vero per cure mal dirette.

Non sarebbe per certo di picciola utilitá l’essere fermamente convinto che il bello eterno ed universale non può consistere se non nell’affetto, nella ragione, nella morale. Lo scrittore intimamente persuaso di questa veritá trascurerebbe tutte le altre critiche come oziose, ma valuterebbe moltissimo come utili quelle che tendono a migliorar il suo cuore o la sua mente.

Invece di ricercare il bello nelle forme esterne del suo stile e del libro suo, derivando con pedantesca imitazione ne! suo discorso le parole, le frasi e le sentenze di un autor che viveva mille anni fa, si avvezzerebbe a sentir con energia ed a pensare con nobiltá; e ne verrebbero da ciò due cose utilissime. La prima sarebbe la perfezione delle produzioni letterarie; la seconda la perfezione del cuore e della mente di coloro che colti van lettere. Forse allora il nome di «grande scrittore» sarebbe sinonimo di quello di uomo di gran mente e di gran cuore.