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esercitata da’ servi moltiplicasse i prodotti e facilitasse la sussistenza; e questo è piú inverosimile del credere che l’Italia potesse alimentare sessanta milioni di uomini. Ho ragione di credere che, allora, in Italia o non vi fossero servi o ve ne fossero pochissimi. Donde si sarebbono tratti i molti servi? Quella specie di servitú che chiamar si potrebbe «feudale»; quella specie che comprende gli uomini «addetti alla gleba», quali erano ne’ secoli di mezzo i mansi, i vassi, ecc., quali erano presso gli spartani gl’iloti, presso i tessali, ecc. ecc.; quella specie di servitú, a buon conto, la quale suppone due nazioni, una dominante, l’altra serva, entro il medesimo Stato; quella, in Italia, come abbiam visto, era cessata. Il diritto delle genti non permetteva di far prigionieri i nemici presi in guerra. In tutta la storia romana non si legge mai che fossero ridotti in servitú i latini, i sanniti, i volsci presi in battaglia. Né nella storia greca trovasi mai ridotto in servitú uno spartano prigioniero degli ateniesi, un ateniese prigioniero degli spartani. È indole della mente umana di considerar come fratelli tutti coloro i quali parlan la stessa lingua, hanno gli stessi costumi, adorano gli stessi numi. In questi popoli, dice Platone, le guerre non sono altro che sedizioni, le quali turbano una stessa cittá.

Tra questi la servitú non è mai un diritto delle genti, perché nessun diritto rende legittima la servitú. Erano ridotti in servitú i prigionieri di quelle nazioni che, per lingua, per costumi, per religione, riputavansi diverse e che sole avevano i nomi di «barbari», di «nemici». I greci ritenevano in servitú i persiani, i traci; i romani i Galli, gli affricani; non altrimente che noi nelle nostre guerre cambiamo i prigionieri europei e riteniamo in servitú i barbareschi. Io credo che i primi, i quali corruppero questo diritto antico della Grecia e dell’ Italia, sieno stati i siracusani. Essi furono i primi greci che ridussero in servitú gli ateniesi vinti nell’infelice spedizione di Nicia. Diodoro di Sicilia fa memoria della calda disputa che allora ci fu in Siracusa, dove non mancarono degli uomini da bene i quali difesero la causa dell’umanitá; ma, sempre retore, Diodoro ha composto egli quei discorsi che ora si leggono, e de’ quali, se mai