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vincolo che la unisce a tutte le parti della civil societá, che non si può ragionar di essa senza parlare, al tempo istesso, di tutte le altre. La vera storia di un popolo non è altro che la storia della di lui agricoltura.

Finora però abbiamo scorsi tempi quasi mitologici, e, tra le favole, ho creduto il piú prudente e piú sicuro consiglio esser quello di dubitare. Tu mi rimproveri il pirronismo, che la mia prima lettera fa nascere sopra tutte le tradizioni dell’antichissima Italia; ed io ti dimando se mai il credere il falso sia piú utile, piú glorioso del non creder nulla. Ora arrestiamoci nel quinto e sesto secolo di Roma. Si può dire che allora incominciò il tempo storico dell’Italia. De’ bei giorni degli etrusci la barbarie, che precedé la fondazione di Roma, tutti distrusse i monumenti ne’ tempi posteriori agli etrusci, ma anche essi anteriori alla grandezza romana. De’ tempi di Taranto, di Sibari, di Locri scarsissime memorie ci han lasciate le sedizioni intestine, le sollevazioni e le guerre dei due Dionisi e l’orgogliosa e barbara noncuranza de’ romani. Questi gloriosissimi avventurieri, che tanto al tempo istesso hanno giovato e nociuto alla gloria italiana, nella terza guerra punica, presa Cartagine, delle biblioteche che in quella non incolta cittá ritrovarono, come di cose inutili, fecero un dono ai regoletti dell’Africa; né altro libro riputaron degno di conservarsi e tradursi fuorché le Istituzioni agrarie di Magone CO. Quando Mummio prese Corinto, valutava a misura ed a peso i capi d’opera di Scopa, di Mirone e di Parrasio. Spuntava allora appena per i romani il primo albore della civiltá. Ma, quando gli antenati di Mummio e di Scipione saccheggiarono Taranto, Crotone e Turio, erano ancora piú incolti, e distrussero le statue di Pitagora e le pitture di Zeusi, né conservarono le Istituzioni agrarie di Archita.

Ma, in questa stessa epoca della quale parliamo, eran forse rimasti barbari i soli romani. L’Italia conteneva una popolazione (i) Plinio, XVIII, 3.