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Ed il costume pubblico dell’Italia qual è? Quello di non , averne nessuno. Noi abbiamo carrozze inglesi, sckal inglesi, fibbie inglesi : sappiamo i nomi di tutt’ i primi chincaglieri di Londra. Di Bedford, di Stanhope, di tanti altri che usano delle loro ricchezze e del loro potere per proteggere e coltivare le arti, noi ne ignoriamo i nomi, né curiamo imitarne gli esempi. Quindi è che ammiriamo gli effetti senza conoscerne le cagioni ; e questa cieca ammirazione è quella appunto che produce il nostro avvilimento, perché l’uomo teme appunto quando non intende. Se noi non fossimo, come siamo, avviliti dall’ozio, noi sapremmo, non ammirando gli effetti ma imitando le cagioni, rivolgendo tutta la nostra annoiatissima vita alla cura delle arti utili e belle, formandoci insomma un costume; sapremmo non solo far tutto ciò che gl’inglesi fanno, non solo produrre tutto ciò che oggi compriamo ed immaginare tutto ciò che ammiriamo, ma immaginare e produrre molto di piú e divenir noi stessi oggetti dell’ammirazione altrui. Ma l’Italia è caduta in tale avvilimento, e tale e tanto è l’obblio de’ propri costumi, che io sfiderei chiunque a descriverli. Proviamoci a comporre un romanzo che sia italiano, una commedia italiana, purché il soggetto non appartenga al popolo, il quale in ogni paese ed in ogni etá è sempre l’ultimo a corrompersi! Noi siam costretti a mendicar tali cose dagli stranieri: le nostre antiche produzioni non ci piacciono piú, di nuove non ne abbiamo.

Gli eruditi diranno che ciò avvenga per mancanza ili genio; ed io aggiungo che il genio manca sempre ove mancano i costumi. Ove non vi è soggetto da dipingere, non può esservi pittura.

IV

Conchiudiamo. Quali sono i caratteri ai quali si può riconoscer lo spirito pubblico di un popolo? Io credo che si possano ridurre ai seguenti. La nazione la quale ha piú spirito pubblico è sempre la piú orgogliosa e la meno vana: piú orgogliosa in ritenere le sue leggi ed i suoi costumi ; meno vana in disprezzare le leggi