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in modo diverso. Era massima eterna della loro condotta pubblica quella di dar la cittadinanza romana a tutto ciò che di savio e di utile ritrovassero tra i loro amici o nemici. Cosí appresero le arti e le scienze dalla Grecia, le armi e la milizia dai sanniti, la navigazione da’ cartaginesi. Né di ciò arrossivano, anzi i piú savi tra loro se lo recavano a gloria. Che conchiudere da questo paragone? Che l’orgoglio del romano virtuoso era fiducia di se stesso e della sua virtú: l’orgoglio del romano corrotto era vanitá che traeva dalla virtú de’ suoi maggiori che piú non sapeva imitare. — 3. Ed in tal modo abbiam definito anche la terza specie di orgoglio nazionale, che chiamar si potrebbe virtuoso, e che differisce dall’orgoglio «barbaro» perché tende a render la patria migliore, differisce dall’orgoglio «corrotto» perché tende sempre a conservar la grandezza una volta acquistata, e colle stesse virtú colle quali si era acquistata. Hi Vi è dunque una stima virtuosa di sé e delle cose sue, e vi è una stima stolta. Omar ha giá conquistato 1 ’ Egitto. Il generale, che avea presa Alessandria, gli fa sapere che vi era una biblioteca immensa, piena d’infinito numero di libri, e gli chiede qual uso debba farne. — Bruciateli tutti — risponde il califfo. — Che bisogno abbiam noi di cotesti libri? O dicon le stesse cose che dice l’Alcorano o dicon cose diverse: se le stesse, bruciateli perché superflui ; se diverse, bruciateli perché dannosi. La sciabla e il Corano debbon bastare ad ogni buon musulmano. — Ecco l’orgoglio del barbaro.

Un romano avrebbe esaminati quei libri. Probabilmente ne’ primi tempi non ne avrebbe compreso il pregio: la sua mente era ottenebrata dall’ignoranza, ma non traviata dall’errore e, vinta una volta l’ignoranza, li avrebbe tenuti cari. Ma il romano, fuorché nelle arti utili e nelle scienze, non imitava nessuno. Le sue leggi eran sante, e piú sante delle leggi erano i costumi, e forse piú sante de’ costumi erano le maniere. Non si crederebbe, ma pure è vero: il popolo vincitore della terra